TOCCARE LA TERRA
Toccare la terra è testimonianza. Forse il gesto più simbolico della tradizione buddhista che, non a caso, avviene nel momento del risve- glio, dove si attua la relazione con la totalità e l’infinito.
Toccare la terra è anche un atto di profonda guarigione, che implica la presa in carico della responsabilità della relazione con questa totalità che include ogni elemento della sfera spirituale ma anche di quella materiale. La terra è un corpo, ma non un corpo che ci appartiene, bensì una condizione di cui siamo parte e con la quale condividiamo un destino, una fragilità. Il gesto del contatto ci dice, infatti, che non c’è separazione tra l’io e il mondo ma un legame di interdipendenza che ci richiama, senza deroga, alla cura. La cura che inizia a brillare dal momento di quel gesto così semplice e così trasformativo, tota- lizzante come un momento senza ritorno nel fluire del tempo. Proprio quella cura è un modo di camminare dentro il cuore del mondo stesso che ci lascia una sola possibilità: ci appella a un impegno irrevocabile, all’imperativo etico che ci chiama a collaborare con la terra perché entrambi, noi e lei, possiamo rigenerarci, ricomporci, tornare uno.Stefano Bettera
Toccare la terra per prenderci cura del mondo è riconoscere un’unità di fondo, una relazione profonda che la ferita creata dalla distanza illusoria tra natura e cultura ci ha fatto percepire come perduta, come altro da noi. Ci ha fatto dimenticare la sua voce, la sua poesia. Nelle radici che sprofondano nella terra sta il segreto di un lignaggio che dal momento del risveglio ci lega allo stesso destino, alla stessa necessità, quella di guardare alla vita da una prospettiva diversa, la necessità di coltivare giorno per giorno la nostra pratica di accoglienza e accu- dimento. Il chiamare la terra a testimone è il risveglio di una coscienza che avviene in un istante che appartiene all’assoluto ma che testimonia la vicinanza, l’incontro con il corpo di un mondo ferito che ci parla, ci chiama, ci appella. Un mondo che siamo noi.