(continua dal numero di settembre)
Ma esiste un portato spirituale del dialogo interreligioso che va ben oltre la mera coesistenza.
Il cuore di una relazione autentica e profonda tra le Religioni batte al suono di tre parole, la prima delle quali è unità. Si può spiegarla in maniere differenti, che si tratti di un Creatore per tutti gli uomini, di un’origine comune di ogni forma di vita, di una rete di cause ed effetti che collega l’esistenza di ciascun essere a tutti gli altri – il messaggio è che siamo parte di un più grande tutto. E nonostante gli insegnamenti siano molteplici, la spiritualità umana è una, ed è uno il cammino che condividiamo con i nostri fratelli e sorelle.
La seconda parola è differenza, pronunciata come il più gioioso dei canti: perché i saggi sanno che il vero dialogo non si riduce alla tolleranza delle diversità, ma le celebra in festa, quali espressioni del sacro nelle sue infinite forme. Ogni Tradizione ci offre una visione unica del mistero della vita, che illumina le altre, e solo attraverso il dialogo possiamo apprezzare e possedere una simile ricchezza.
La terza parola è umiltà, la prima delle virtù perché significa ammettere, di fronte alla luce dello spirito, la nostra infinitesima misura. Richiede un coraggio intellettuale e una apertura fuori del comune, affermare che nessuna Religione ha il monopolio della verità.
Se saremo in grado di parlare così, la pace tra gli uomini potrà essere anche un traguardo spirituale, non solo sociale o politico. Solo allora potremo riconciliarci e guarire davvero le ferite inferte dalle divisioni e dai conflitti nati in nome di un credo.
Il territorio morale che le grandi Religioni possiedono in comune, abitato da valori come amore, compassione, giustizia, non sarà oggetto di contesa ma patria dell’umanità intera.
È la dimensione spirituale del dialogo interreligioso che consente di sperare in un mondo unito, nel quale ognuno possa accendere la propria luce senza paura.