Nel 2014 il regista cinese Juaqing Jin entra per la prima volta in una valle remota nella provincia occidentale del Sichuan, tra gli altipiani innevati del Tibet, raggiungendo il Monastero buddhista di Yarchen.
Vi trova oltre 10.000 monache che, sotto la guida di alcuni Lama, hanno intrapreso un intenso percorso di studio e preghiera. Dopo lunghe trattative per ottenere il permesso di realizzare un filmato, le riprese dureranno tre anni.
Ne risulterà un documentario dal titolo “Dark red forest” (in italiano “Il respiro della foresta”), che racconta l’esistenza quotidiana e misteriosa di una comunità di donne ammantate di rosso scuro, isolate dalle loro famiglie e dal mondo, numerose come gli alberi di una foresta e altrettanto resistenti al durissimo eremitaggio, in uno dei luoghi più aspri del pianeta.
La telecamera, tra loro, è una presenza paziente, intima e continua, la narrazione un distillato poetico e originale: solo scene in successione, nessun dialogo o spiegazione fuori campo, nemmeno la musica.
Una esperienza quasi contemplativa, che trae la sua forza dai soggetti osservati e dal paesaggio quasi ultraterreno.
Eppure, la trama è concreta. Migliaia di figure di donne, contro lo sfondo di maestosi scenari naturali, sono seguite nei momenti che scandiscono la vita monastica: la relazione con i maestri e le altre monache, la meditazione, le assemblee, i pasti, le visite mediche.
Fino ad un ritiro di cento giorni all’esterno, cui partecipano in ben settemila, vivendo nel periodo più freddo dell’anno in capanne di legno tanto piccole da potersi caricare sulla schiena.
I ritratti che ne escono sono fatti di docile semplicità, gravità e leggerezza. Come nella scena di uno yak che si affaccia alla finestra rubando un sorriso, o nel realismo crudo della sepoltura celeste, con il corpo del defunto offerto agli avvoltoi.
Alle prese con i quesiti fondamentali dell’esistenza, le monache imparano sofferenza e guarigione, azione e conseguenza, compassione e gentilezza, e sopra tutto il perpetuo mutare di tutte le cose fisiche e mentali, che nascono, si sviluppano, decadono e cessano, per poi ciclicamente rinascere.
Così quello che per il pubblico in genere è curiosità e scoperta, per il praticante buddhista diventa una verifica puntuale e senza sconti di una vita vissuta secondo il dharma.
Il paesaggio proibitivo e meraviglioso e il potente messaggio spirituale ci catturano.
Neanche realizziamo che di nemmeno una di queste donne abbiamo saputo il nome, ma le ricorderemo tutte.