(Prosegue l’articolo del mese di giugno)
Se vuoi la pace, la pace viene subito da te.
Thich Nhat Hanh
L’amore nel buddhismo non è un sentimento né un concetto astratto, ma una qualità della mente strettamente unita all’azione. Il Venerabile Lama Paljin Tulku Rinpoce insegna ai suoi allievi che amare è desiderare la felicità dell’altro e fare di tutto affinché questi la raggiunga.
Così anche la pace diventa possibile quando l’amore è azione, una tesi che Thich Nhat Hanh ha provato con la sua stessa esistenza.
Nell’affrontare a fianco del suo popolo la guerra del Vietnam, insieme alla maggioranza della comunità buddhista del suo Paese, egli abbracciò con convinzione il metodo dell’azione non-violenta o ahimsa, poiché, nelle sue parole, essa scaturisce spontaneamente dall’altruismo e dalla compassione, non dall’odio, dalla paura o dall’ignoranza, che distruggono sia chi ne è preda che la lotta stessa.
Per i buddhisti vietnamiti si trattò di restare dolorosamente neutrali tra due fanatismi, da un lato i vietcong, dall’altro le forze filogovernative. Fu anche, come tutti sanno, uno scontro tra superpotenze, sopra la testa del popolo che, in maggioranza, desiderava ardentemente vivere in unità e pace. Le immagini che testimoniano questa lacerazione fecero il giro del mondo e sono oggi nei libri di scuola.
Famiglie che scendono in strada con i propri altari domestici contro i carri armati, monaci e monache che si danno fuoco: non un suicidio, ma l’intento di soffrire per comunicare con la forza sovrumana del dolore, per incendiare il cuore. Tra questi Nhat Chi Mai, discepola del Maestro, che con le sue ultime parole dichiarò di volere essere “una torcia nell’oscurità”.
In tutto il paese si digiunò, si usò la cultura per protestare, si venne arrestati, uccisi o esiliati.
Anche noi, oggi, abbiamo sete di pace. Siamo stanchi, così stanchi dell’orrore di tutte le guerre. Ma per percorrere il sentiero della non violenza bisogna comprenderne il vero significato.
La pace non è un fine, spiega Thich Nhat Hanh, è un mezzo. Non potremo raggiungerla senza averla prima trovata dentro di noi. Nel protestare contro una guerra, accorgiamoci dunque delle sue radici, che affondano nella rabbia che proviamo, nell’essere inconsapevoli della natura ultima di ogni fenomeno, anche del “nemico”, nell’ignorare l’interdipendenza di tutti i fenomeni, anche dei conflitti. Non c’è speranza per il mondo se l’azione di ogni individuo non scaturisce dall’amore.
Nell’iconografia buddhista il bodhisattva Avalokitesvara ha mille braccia, mille mani e su ogni palmo un occhio: la compassione, spiega Thich Nhat Hanh, non può essere disgiunta dalla profonda consapevolezza nei tre campi dell’azione, corpo, parola e mente.
Comprendendo completamente una situazione o una persona, non potremo più allontanare oppure odiare, il nostro agire sarà d’aiuto e non causerà sofferenza. Oppure sapremo esercitare la non-azione, fondamento di ahimsa. A volte è proprio non facendo nulla che portiamo il maggiore beneficio. Un albero non fa altro che respirare…Però se non ci fossero gli alberi non ci saremmo neanche noi uomini.
Se saremo calmi e diventeremo un fiore prima di aprire bocca, non accuseremo o discuteremo, ma la nostra parola sarà amorevole. Oppure sapremo quando tacere, esercitando l’ascolto profondo, anche verso il nostro “nemico”, altra base della non-violenza.
Quando, infine, saremo pienamente consapevoli dei nostri pensieri, la guerra sarà tagliata alla radice.
Impariamo questi metodi, ci esorta il Maestro, per trattare pacificamente anzitutto noi stessi: iniziamo col trasformare le guerre presenti in noi. Non c’è che la pratica, l’allenamento interiore quotidiano, a proteggerci dai conflitti presenti e futuri.
(Citazioni da Thich Nhat Hanh “L’amore e L’azione” Ubaldini Editore)