×

1 Ottobre 2024

KATHMANDU E LA KUMARI (prima parte)


Nepal, il viaggio che tutti sognano e prima o poi faranno.

Dopo il lusso onnipotente del Qatar, scalo obbligato, con le sue vetrine da milioni di euro, sospinti da un condizionamento polare capace di insinuarsi sotto i voluttuosi plaid della linea aerea, l’attesa per i bagagli a Kathmandu, con la solita ressa di carrelli unticci e un unico nastro per dieci voli, è quasi un sollievo.

L’aeroporto, mi fanno notare i veterani, è cresciuto. Un tempo era praticamente una grossa tenda, la gente si sedeva in terra. Chissà perché non sono così contenta di sentirlo.

E comunque via, per le strade multicolori della capitale, su un pulmino dove mi prendo dieci morsi da un insetto invisibile. Anche Kathmandu si è sviluppata, copiando il peggio dall’occidente, ce ne accorgiamo subito. Un numero simile di macchine e moto non si era mai visto. Con il Governo che sussidia l’acquisto, ora ogni nepalese ha almeno un motorino, mentre le bici sono praticamente estinte. Fa milioni di persone in movimento perpetuo, che ti vengono addosso come in Inghilterra, dal lato sbagliato della strada, guidando dal lato sbagliato della macchina, e seguendo traiettorie intrecciate con folli velocità, per fermarsi in extremis a sfioro di mezzi e passanti. Il mio DNA un po’ napoletano mi protegge, gli altri sono increduli.

Risultato? In una manciata di anni la capitale ha conquistato il poco invidiabile primato di città più inquinata del mondo e a me, che ho i polmoni fragili, viene un febbrone da cavallo.

Quando riemergo visitiamo i posti del cuore. Meno male che sono ancora lì.

I Monasteri solenni e variopinti, i sorrisi dei giovani monaci, le cerimonie millenarie dall’energia che non puoi dire in parole, i templi, l’architettura splendida dei siti UNESCO, ricomposta mirabilmente – in meno di dieci anni – dopo il tremendo terremoto.

E ovunque commercianti nati, con la loro paccottiglia turistica, mescolati con certi artigiani della pietra, del legno, dei preziosi, da fare impallidire la Terra di Mezzo.

Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare, diceva De Gregori.

Capita poi che la gemma che ti porti a casa sia del tutto inaspettata.

Nella piazza di Durbar Square, nel centro storico di Kathmandu, c’è un palazzo chiamato Kumari Ghar.  Da fuori assomiglia alle dimore dei sovrani nelle città d’arte del Nepal, con i suoi muri di mattoni e le file di finestre ricamate nel legno. Rigorosamente chiuse. Perché nelle stanze più protette e riccamente addobbate, ci vive una divinità.

La dea vivente chiamata Kumari, manifestazione di Taleju o Durga, al centro di una venerazione profonda in tutto il Nepal buddhista ed anche induista, ma particolarmente nella comunità Newar della valle di Kathmandu. Ed è una bambina.

Consegnata dai genitori dopo il suo riconoscimento, vive reclusa nel palazzo, servita come una regina, affacciandosi o uscendone solo nell’occasione di importanti cerimonie e alla fine della sua esistenza divina quando, raggiunta l’età dello sviluppo, potrà tornare nel mondo dei mortali, lasciando il posto ad una nuova bimba.

(Continua nel numero di novembre)



Condividi