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25 Luglio 2024

SIDDHI, LA SFERA PSICHICA


Nel Buddhismo il termine siddhi si riferisce sia al processo di acquisizione di poteri cosiddetti psichici, abilità paranormali o “magiche”, che ai poteri stessi. Nel mito e nella tradizione grandi Maestri hanno prima o poi dato prova di possederli e padroneggiarli, e vengono per questo chiamati Siddha, Il concetto e la relativa sapienza provengono dall’induismo, la radice sanscrita sidh si traduce con “perfezione” e “ottenimento”.

Ci troviamo all’interno della cosiddetta sfera psichica, che comprende concetti come chiaroveggenza, lievitazione, bilocazione, viaggi astrali. Nella cultura occidentale, dominata dal dogma della prova scientifica ripetibile e da un eccesso di razionalismo, sentiamo parlare così solo al cinema, oppure sui media in occasione dell’arresto di uno dei tanti sedicenti maghi. Alcuni credono nei cosiddetti miracoli della propria dottrina religiosa di appartenenza, altri li ritengono solo racconti mitizzati; ma tutti pensano che si tratti di facoltà misteriose, riferibili nella storia dell’uomo ad uno sparuto gruppo di individui fuori dell’ordinario.
Non è proprio così.

I poteri psichici hanno un posto di rilievo nelle tradizioni spirituali e nella mistica indiana e poi, attraverso i secoli, buddhista. Spesso associali a grandi Yogi, Santi e Maestri, sono in realtà ritenuti raggiungibili da qualsiasi praticante serio, rigoroso e devoto. Nelle antiche scritture indiane, quali gli Yoga Sutra di Patanjali, la Bhagavad Gita e in vari Purana, ma anche nei testi buddhisti, sono descritti come sottoprodotti della meditazione e segni quasi automatici del progresso spirituale di un individuo.
Possono emergere, più raramente, anche nei non praticanti, a dimostrazione del fatto che si tratta di qualità insite in qualsiasi essere umano, ma non è possibile ottenerli e gestirli attraverso il mero desiderio o uno sforzo superficiale.
A seconda delle scuole, i siddhi si manifestano appieno quale frutto di un impegno profondo nello yoga, nelle pratiche tantriche, in specifiche tecniche di meditazione e visualizzazione, nell’uso di mantra e yantra (rispettivamente suoni e diagrammi sacri), nell’aderenza totalizzante a codici etici e morali. Nella maggior parte dei casi, la guida e la benedizione di un Guru (maestro) sono considerati cruciali.

Nel buddhismo tibetano i siddhi sono classificati in due categorie principali:
sono ordinari o mondani, oppure straordinari o sovramondani. Ed è significativo che tra i siddhi mondani ci sono poteri come l’abilità di vedere cose o di percepire suoni al di là della sensibilità comune (chiaroveggenza e chiarudienza), le capacità di leggere nella mente e comunicare con il pensiero (telepatia), di levitare e teletrasportarsi, di guarire gli ammalati. Ordinari sia perché tutti gli uomini li possiedono in certa misura e possono svilupparli, sia perché non sono considerati elevati. Questi siddhi, infatti, testimoniano la potenza delle pratiche più avanzate, sono riconosciuti e rispettati, ma non sono mai considerati lo scopo finale del percorso spirituale. Sono visti come prodotti secondari, da registrare per poi passare oltre. Il loro ottenimento non deve avvenire per uso o guadagno personale o per vanto, al più essi possono divenire strumenti destinati ad aiutare gli altri sulla strada del risveglio.
Per i buddhisti tibetani di straordinario ci sono solo i poteri collegati alle realizzazioni spirituali più alte: l’ottenimento della vera compassione, la diretta percezione della vacuità o natura della realtà, il raggiungimento della saggezza e della consapevolezza (jinana siddhi), la manifestazione della buddhità (nirvana siddhi).

Il messaggio è quindi chiaro: l’accesso alla sfera psichica non è straordinario, è insito nell’uomo come potenzialità e prodotto naturale delle pratiche spirituali. Al di fuori del comune c’è solo l’impegno sulla via dello spirito, questo sì per pochi eletti. Ma, dicono i Maestri, chiunque l’intraprenda con assoluta perseveranza potrà raccogliere questi frutti. Tuttavia, consci del fascino che l’esistenza di “super poteri” può esercitare, essi ci mettono in guardia dal perseguimento dei siddhi fine a sé stesso e dall’attaccamento ad essi, poiché questi costituiscono una distrazione dall’obbiettivo, un alimento per l’orgoglio e quindi un vero e proprio ostacolo sul cammino spirituale. Grandi Maestri del Buddhismo tibetano quali Milarepa e Padmasambhava dimostrarono di possedere grandi poteri, ma tutti i loro insegnamenti si focalizzano sull’importanza della saggezza e della compassione.
Il praticante, quindi, non perda di vista i suoi obiettivi.

I siddhi, con il loro mistero, riflettono la profondità e la ricchezza delle tradizioni spirituali dell’est del mondo. Servono a ricordarci il potenziale che è latente nell’umanità intera, in grado di raggiungere qualsiasi meta attraverso la volontà e la dedizione, sul piano materiale come su quello spirituale.
Sono pietre miliari sul nostro cammino, se sorgono è per rammentarci di proseguire, di elevare la coscienza verso la tappa successiva. Alla loro luce il vero potere risiede nel trascendere l’ego e nel realizzare pienamente la natura ultima di tutto ciò che esiste.



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