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4 Settembre 2024

LA RELIGIONE DEL DIALOGO (prima parte)


È cruciale che le religioni si mettano d’impegno nel parlarsi sul serio, per coltivare la comprensione reciproca e la coesistenza in un mondo sempre più interconnesso.

Molti conflitti hanno una dimensione confessionale e il dialogo interreligioso agisce come irrinunciabile mediatore delle tensioni e costruttore di pace.  Solo una conversazione franca e aperta può ridurre le incomprensioni, gli stereotipi, i pregiudizi a favore di un terreno comune di contrasto della discriminazione e della violenza, sul quale gettare i semi di una nuova società. Consentendo di imparare dall’altro, il dialogo porta a riconoscere il valore del pluralismo religioso e quindi è premessa indispensabile per promuovere il rispetto per la diversità di credo e di pratiche nelle società e sul pianeta, 

Il dialogo interreligioso non è solo una opzione, quindi, ma una necessità in un mondo globale, dove la pacifica convivenza tra diversi è non solo arricchimento spirituale, ma condizione necessaria perché gli uomini possano affrontare uniti sfide epocali: emergenze ambientali e climatiche, povertà, diritti umani… esigono cooperazione. Le comunità religiose, se concordi, potrebbero esercitare la propria influenza etica e morale nel promuovere il cambiamento.

Il buddhismo ha dimostrato storicamente una vocazione prettamente pacifica nel rapporto con le altre religioni. Ciò nonostante, in alcuni periodi ed aree geografiche, si sono generate situazioni di conflitto, come ad esempio con gli hindu in India o con i musulmani in regioni come il Myanmar, a testimonianza del fatto che la coesistenza e la difesa della propria identità costituiscono un equilibrio fragile, in costante pericolo.

Nel mondo moderno il buddhismo è universalmente riconosciuto quale attore di primo piano nel dialogo interreligioso, si pensi ad esempio all’impegno in tale direzione profuso dal Dalai Lama. La relazione del buddhismo con le altre tradizioni è oggi caratterizzata da un approccio aperto, non esclusivista, che enfatizza lo scambio e la ricerca di valori comuni.

Il buddhismo condivide molti valori etici con altre religioni, concetti come altruismo, compassione, non violenza, ricerca della saggezza sono universali, e questa è già una base per il dialogo e la cooperazione. Ma si può affermare che alcuni principi specifici contribuiscono a farne un potenziale campione del dialogo interreligioso.

Anzitutto la sua natura può definirsi non-esclusivista e non-teistica. Esso non professa di possedere una esclusiva sulla verità, i fedeli buddhisti sono quindi generalmente predisposti ad imparare dalle altre religioni e a rispettarle. Né pretende la conversione dai propri praticanti provenienti da altre fedi, una buona premessa per la coesistenza pacifica.

Inoltre, si tratta di una tradizione non teistica, fondata sugli insegnamenti di un uomo, il Buddha, che parla dell’uomo, non di Dio. Le divinità del pantheon buddhista sono soltanto simboli di qualità umane. E una religione che non entra in competizione su questo piano è facilitata nel dialogo.

Un altro fattore predisponente è l’innata capacità di sincretismo e adattamento, che questa tradizione ha dimostrato nei secoli. Nell’espandersi attraverso l’Asia, il buddhismo si è sovente integrato con le culture preesistenti e le religioni locali; si pensi allo Scinto in Giappone, a Confucianesimo e Taoismo in Cina, al ricco dibattito filosofico con il Brahmanesimo in India.

Non da ultima la diffusione capillare, in tempi più recenti, della meditazione o della cosiddetta mindfulness, adottate anche da persone di diversa formazione religiosa, spesso quali pratiche complementari della propria disciplina, ha certamente contribuito ad una immagine positiva del buddhismo, foriera di relazioni positive.

(continua nel numero di ottobre)



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