(Continua nell’edizione di luglio)
Ecco il mio petto. Punta la tua pistola, fratello, spara! Se vuoi puoi distruggermi e dal mio cadavere ricavare ciò che stai sognando.
Thich Nhat Hanh
5 luglio 1967, il cielo notturno sfavilla nella corrente del Saigon, in Vietnam, mentre infuria uno dei più controversi conflitti della storia. In cinque remano a mani nude su un piccolo sanpan, conversando tra di loro come fanno ragazzi, poco più che ventenni, in una qualsiasi parte del mondo. Mentre la barca scivola silenziosa, parlano lievi di cose profonde, si capisce che sono amici. Il punto è che sono tutti morti.
Quattro volontari di una organizzazione non violenta, di cui un religioso, rapiti da un gruppo militarizzato nel vicino villaggio e appena fucilati sulle rive del fiume, e Nath Chi Mai una giovane monaca che si è data fuoco per fare ascoltare le sue parole contro la guerra.
Testimone reale di questo dramma, è Thich Nhat Hanh (1926-2022) monaco zen vietnamita, proposto da Martin Luther King per il Nobel, maestro ed infaticabile diffusore del Dharma quale strumento per la pace, la riconciliazione e la fratellanza. Così si apre la raccolta di suoi saggi intitolata “L’amore e l’azione” (Ubaldini Editore).
Egli, che li ha conosciuti, li immagina come erano, con i corpi e le menti alleggeriti e purificati dalla morte e il loro dialogo diretto ai vivi: come superare l’orrore della guerra, il dolore per tante vite perdute?
Ascoltami
Come avresti ascoltato il canto del fiume o il canto dell’uccello,
come avresti guardato il verde ciliegio cadente,
le rose rosa, il crisantemo giallo, il bambù violetto,
le nuvole bianche, la luna brillante.
Da principio i cinque giovani prendono coscienza di quanto è loro accaduto e appaiono meravigliati dalle nuove circostanze: non si tratta del paradiso o dell’inferno, appartengono ad una dimensione che è molto più vicina di quanto credevano in vita.
“Questo pare proprio il fiume Saigon. Si tratta ancora del nostro paese, della nostra terra, dei nostri fiumi?” si chiede Tuan. Le loro menti possono ora creare qualsiasi cosa desiderino, e persino compiere azioni a beneficio degli altri. Ma soprattutto possono comprendere la natura ultima delle cose.
Il nostro paese, dicono, sarà distrutto ma alla fine la pace prevarrà. È duro assistere al dolore delle persone amate, che rimangono, ma ciascun vivente contiene in sé suo padre, sua madre, i suoi avi, innumerevoli esseri fisici e mentali, che hanno contribuito alla sua esistenza, nei quali continuerà. Così ognuno è presente sempre e ovunque, morire non può spaventare. Se il buddhismo insegna che non vi è separazione, tutto è interconnesso perché nulla esiste di per sé, allora l’altra sponda e questa sono una unica cosa e non due diversi fenomeni. Vita e morte sono parti della stessa trasformazione, e come il fiume scorre, così “il viaggio prosegue, sul sentiero del ritorno”.
Da una simile prospettiva non può esserci odio per chi ha premuto il grilletto, forse a malincuore, certamente obbedendo a un ordine. Appare un velo di tristezza per l’odio, la paura e il pregiudizio, che sarebbero i veri nemici da combattere, che avvolgono il mondo dei vivi nella nebbia fino ad accecarli.
Resta solo l’amore.